Riceviamo e pubblichiamo. Lettera aperta dell’ Associazione “La Ragnatela” – Intrecci di Vite per la Vita
Nel marzo 2015 noi come Associazione “ La Ragnatela” siamo partiti da una constatazione: la vita non si impara dal racconto degli altri e troppo spesso il fascino del vivere sta nella sorpresa continua cui non mancano mai la sofferenza, il dolore e la lotta per garantire un minimo di accoglienza in sanità e un massimo di accoglienza in affetto.
Vicende di vita personale hanno portato alla costituzione della nostra Associazione perché arriva il momento, prima o poi, in cui ognuno è chiamato alla costruzione di un mondo più accogliente e più amorevole. Eravamo consapevoli che prima o poi ci si doveva rendere conto che non si poteva costruire una società diversa e più giusta con un modulo organizzativo basato esclusivamente su un individualismo consumistico ed edonistico e su una visione premiale del bello e della gradevolezza. La vita non è solo consumo, ma è soprattutto impegno dedicato a chi rappresenta la nostra continuità di futuro.
Ci rendevamo conto che prima o poi a ciascuno toccava misurarsi col mal di vivere e prima o poi eravamo costretti a scendere in campo. Purtroppo è successo a tutti noi.
Il 2020 sarà sempre ricordato come l’anno della pandemia e noi tutti siamo testimoni di una serie di mutazioni comportamentali che da atteggiamenti esteriori (la mascherina, il rifuggire dal contatto fisico, le ricorrenti pratiche di misure di sanificazione, il confinamento, gli accessi controllati e condizionati) hanno trasformato a fondo il nostro vissuto quotidiano, anche per l’introduzione da parte di organismi internazionali o da organi di governo, politici ed amministrativi, di nuovi obblighi, di nuovi divieti che ci stanno riducendo gli spazi di libertà individuali e collettivi.
Il rischio, o anche solo la minaccia alla salute, hanno imposto un distanziamento
sociale che già ristruttura le reazioni personali per effetto di un codice preventivo e prescrittivo sanitario che nelle pure non concordi previsioni, diagnosi e rimedi, sono unite nel diffondere una pratica di allarme e di prudenza individuale.
Ma ora una domanda: Chi sta pensando agli effetti di tutto quanto sta avvenendo e che seguito avrà sul mondo della disabilità?
Vorrei ricordare che solo da qualche tempo si stava illuminando e recuperando, ai valori di libertà e identità, un gruppo sociale che, per infermità e per sentenza legale, era condannato sostanzialmente ad una ghettizzazione, mitigata dall’affetto di familiari e che si stava incamminando verso un recupero di riconoscimento di bisogni, di cura ma soprattutto di identità di persona.
Il rischio è che la paura del contagio riporti alla chiusura degli spazi di libertà che faticosamente si stavano aprendo al mondo della disabilità, le cui problematiche non sono più un fattore di marginalità sociale.
La paura condiziona negativamente il rapporto tra gli uomini, qualcuno sta immaginando quale potrebbe essere l’effetto moltiplicatore su cui vive la disabilità?
Per esperienza di vita ad alcuni è dato di ritrovare la gioia di vivere con un
familiare disabile, superando il disagio con uno scambio espresso a tacito di comunione.
Anche nel silenzio si riempie di espressione di desiderio e di volontà la vita quotidiana e anche questo è pienezza di vita familiare. Ma c’è sempre un bisogno di comunicazione aperta verso l’esterno per mettere a fattor comune le varie esperienze.
Così è nato il circuito delle Associazioni di cui fa parte la nostra Ragnatela.
La nostra sfida è questa: dalla emersione di una realtà numericamente significativa già esistente nella nostra Regione Puglia, della c.d. categoria della disabilità, riusciamo a far avanzare un discorso di rivendicazione della identità?
Riusciamo a passare dalla indifferenziata e generica categoria dei soggetti disabili all’ individualità del singolo, per se stesso, e non come confuso aggregato in un gruppo, la cui identità deve essere veicolata da persone “normali”?.
Ogni persona ha bisogno di cure sanitarie e di un’attenzione particolare. Si deve uscire dall’indistinto per tornare ad essere ed agire come singolo; inizio e fine di ogni cura di sanità ed attenzione d’amore.
Il nostro è un tempo frammentato in cui si fa fatica a riconoscersi al di fuori dei modelli proposti come omologati e trainanti. Mentre le situazioni di sofferenza individuale e collettiva sono marginalizzate dall’ edonismo imperante e da un modello di giovanilismo senza tema a dispetto della crescita di scenari preoccupanti.
Abbiamo un enorme bisogno di partecipazione che non si può affrontare solo con i buoni sentimenti; dobbiamo dargli spessore, pensiero, forme di organizzazioni diverse, capacità di essere risposta vera per la sofferenza di tanti cui si nega l’ identità e nei cui confronti c’è una sorta di censura preventiva sui disagi che la vita loro riserva quotidianamente.
A tutto questo si aggiunge il rischio che il modello comportamentale imposto a tutti per l’emergenza Covid, un emergenza che sta durando già troppo modificando sostanzialmente in peggio tutti, per i disabili si aggiunge un nuovo fattore di penalizzazione, di emarginazione, in definitiva di esclusione e
“buona notte” ai buoni sentimenti detti ma non praticati.