Un numero ristretto di persone si è arricchito durante la pandemia, mentre gli Stati si indebitavano fino al collo. Ora sappiamo che l’indispensabile transizione ecologica ha costi elevati che ricadranno sulle classi meno abbienti, tra proteste e tensioni.
I vincitori della pandemia sono i supericchi, che lo sono ancora di più. Può sembrare un’osservazione banale, scontata, ma il virus ha ampliato le disuguaglianze mentre tutti i governi erano e sono impegnati, indebitandosi fino al collo, per ridurle. Salvo scoprire che alcune delle loro misure — ed è anche il caso dell’Italia — vanno in qualche caso nella direzione opposta. Negli ultimi due anni di Covid, secondo Oxfam, i patrimoni delle dieci persone più ricche al mondo sono semplicemente raddoppiati mentre 160 milioni di individui scivolavano nella povertà. In Italia, a differenza di ciò che è accaduto nella maggior parte dei Paesi Ocse, il numero delle persone in condizioni di indigenza è cresciuto fortemente. Sono 5,6 milioni, il 9,4 per cento della popolazione. Non è finita.
A questo vasto sommovimento economico e sociale se ne aggiungerà un altro dalla portata indefinita. Forse più ampia. L’ indispensabile transizione energetica ha costi elevati che saranno sopportati dalle classi meno abbienti, Quello che accade in Canada — ma è solo l’esempio più eclatante fornito dalla cronaca — è significativo. Tra i camionisti canadesi del Freedom Convoy non vi è soltanto una protesta contro l’obbligo di vaccino per entrare nel Paese, ma anche la preoccupazione di categorie che si ritengono già penalizzate ingiustamente a causa del rincaro dei carburanti e dalle incognite legate alla transizione energetica. Si sentono spinte inesorabilmente ai margini della società. La protesta dei gilet jaune in Francia scaturì da un uso, seppur maldestro, della leva fiscale a fini ecologici. E non sorprende che la ribellione ai vaccini abbia attecchito di più in quella fascia della società d’Oltralpe, ovvero tra le categorie che si considerano perseguitate e nel mirino di politiche economiche e sanitarie. Ciò alimenta consensi sia per la destra di Le Pen e Zemmour sia per la sinistra di Mélenchon. Mentre l’ex Presidente americano, Donald Trump, plaude all’eroismo dei «patrioti» camionisti canadesi, gli effetti politici di questo sentimento di esclusione, trasversale al mondo occidentale, sono tutti da comprendere e da metabolizzare. Liquidare il tutto con un semplice giudizio morale (l’irresponsabilità dei no vax) è indice di miopia e superficialità. Sono un popolo e costituiscono la più grande incognita per le politiche di inclusione e per gli sforzi di ridurre le disuguaglianze e di tutelare la salute pubblica. Un mondo diviso è il titolo del libro scritto da Eugenio Occorsio e Stefano Scarpetta ed edito da Laterza con la prefazione del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Un’analisi lucida sulle cause delle disuguaglianze, non solo economiche ma anche tra generazioni e di genere, e possibili rimedi. Con uno squarcio inedito su quella che potremmo chiamare la trappola della povertà. È facile finirci dentro, più di quanto non si pensi. È assai difficile, in qualche caso persino impossibile, uscirne. Una lettura che lascia attoniti. È come se esistesse, nella nostra società, una rupe invisibile, cadendo dalla quale si precipita in un «buco nero» della cittadinanza. Là dove esiste un capitale sociale, costituito da associazioni di assistenza e forme di volontariato (e in questo l’Italia sta meglio di altri Paesi), le speranze di riscatto sono elevate. Altrimenti è l’inferno. Non si tratta solo di soccorrere ma anche di accompagnare, di riuscire a trasmettere fiducia. In sé e negli altri. Non è solo una questione di risorse. Conta il contesto in cui si vive, la possibilità e la voglia di rimettersi in gioco e formarsi di nuovo. La sfida della lotta alle disuguaglianze è soprattutto l’ insieme di politiche attive di manutenzione del senso più che del diritto di cittadinanza. Occorsio e Scarpetta spiegano nel loro libro che nei Paesi industrializzati «il rapporto tra il reddito medio del 10 per cento più ricco e il 10 per cento più povero» se negli anni 80 era pari a sette volte, oggi è dieci.
Le stime
Secondo le proiezioni della Banca Mondiale, la pandemia riporterà la quota di popolazione mondiale, che vive con meno di 1,9 dollari al giorno, al 10%, annullando parte degli effetti positivi della globalizzazione. «I poveri estremi tornano ad aggirarsi sugli 800 milioni di individui, un livello che si credeva abbandonato per sempre». Più crescono le disuguaglianze più l’ascensore sociale rallenta 0 addirittura si ferma. Nell’area Ocse sono necessari, a una famiglia a basso reddito, 135 anni per raggiungere quello mediano. In Italia 150. In Francia e Germania va peggio: 180. L’aspettativa di vita scende con il livello di istruzione. Gli autori citano il caso clamoroso della Jubilee Line della metropolitana londinese. Andando verso Est a ogni fermata si perde un anno di vita. La classe media si assottiglia fra i giovani un po in tutti i Paesi. Dal 1995 a oggi i salari della classe media sono aumentati, sempre nei Paesi Ocse, del 20%, il prezzo delle case del 200%. L’Italia sta in fondo alla classifica e sconta la perdita di produttività. In trent’anni i salari sono diminuiti del 2,9%; in Francia sono cresciuti del 31,1%, in Germania del 33,7%. Ma il dato che colpisce di più nell’analisi degli autori di un mondo diviso è un’ ulteriore e ingiustificata disuguaglianza: quella degli aiuti a chi sta peggio. In Italia la spesa pensionistica italiana assorbe troppe risorse destinate al welfare. Nel nostro Paese le probabilità che un lavoratore autonomo possa ricevere un sostegno al reddito sono appena del 10% contro il 50% di un lavoratore dipendente con contratto a tempo determinato. La leva fiscale è importante a fini distributivi. Ma è una risposta risposta che la globalizzazione, con la perdita di controllo degli Stati sul movimento dei capitali, ha reso meno efficace e politicamente più costosa.
La minimum tax sulle grandi multinazionali è solo un passo avanti, per quanto importante, lungo l’impervia strada del recupero degli imponibili. Certo gli altri Paesi non hanno un livello di evasione nemmeno paragonabile al nostro. Le disuguaglianze si riducono soprattutto investendo in istruzione e in formazione. A tutte le età. E garantendo servizi pubblici adeguati o forniti da privati in regime convenzionato, con formule di impact investing per creare contesti sociali, specialmente nelle periferie e nel Mezzogiorno di vivibilità e fiducia nella legalità. Il rendimento dell’investimento in una laurea è nei Paesi Ocse del 50% in media più elevato che in Italia. Se i giovani percepiscono che studiare non rende, emigrano o si adattano, spesso deprimendosi. I test sui rendimenti scolastici — notano gli autori— in altri Paesi sono discussi per settimane, da noi per nulla, se non per contestarli. Gli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza sono l’ultima grande occasione. Con risorse mai avute nella storia. Ma manca la consapevolezza di quanto sia urgente spendere bene. Di questo dovremmo occuparci, tutti, ogni giorno. Senza un buon capitale umano non c’è ripresa. Senza crescita non c’è lotta alle disuguaglianze. E la trappola della povertà può imprigionare un intero Paese che si illude di poter vivere di rendita o di debiti.
P.S. La truffa degli aiuti Covid, scoperta nei giorni scorsi, e operata da una rete di commercialisti e imprenditori del Nord Est, ha sottratto risorse pubbliche per più di 400 milioni. La metà di ciò che è stato previsto per la scuola con la legge di Bilancio del 2022.
fonte: L’Economia del Corriere della Sera