Un resoconto affascinante quello dell’associazione guidata da Adele Quaranta che punta alla pronozione e alla salvaguardia della cultura e dell’ambiente
L’escursione, promossa dall’Associazione G.ECO.S.-OdV – impegnata nella salvaguardia e promozione del territorio, della cultura, sostenibilità, buone prassi e sviluppo socio-culturale dei giovani –, in collaborazione con il “CSV Brindisi Lecce – Volontariato del Salento”, si è svolta in provincia di Taranto, in particolare a Mottola ed a Massafra, dove sono stati visitati villaggi, gravine e templi ipogei.
L’utilizzo dell’antro sotterraneo come tempio religioso è presente in tutte le epoche storiche, presso tutte le religioni e latitudini del pianeta, molto spesso anche in assenza di insediamenti rupestri civili.
L’uso cultuale e religioso delle caverne naturali risale all’uomo neolitico di Cro Magnon. Circa quarantamila anni fa le grotte naturali cominciano a essere dipinte e graffite, come avviene ad Altamura, a Lascaux, a Niaux, in Asia, India, Afghanistan, Birmania, etc. In epoca altomedioevale il santuario di Monte Sant’Angelo divenne meta di pellegrinaggio fin dal V secolo, in seguito alla leggendaria apparizione nella grotta garganica dell’Arcangelo Michele.
Il rapporto tra religione cristiana e grotte si rafforzò in età altomedievale, grazie al fenomeno dell’eremitismo e alla diffusione della tradizione monastica basiliana nelle aree geografiche poste sotto l’influenza bizantina. Il modello monacale determinò nel Basso Medioevo la diffusione un po’ ovunque di luoghi di culto e di monasteri rupestri.
Indispensabili alla sopravvivenza delle popolazioni neo-trogloditiche, erano presenti semplici ed efficienti sistemi di raccolta delle acque piovane – risorsa preziosa e indispensabile nella Murgia sitibonda – in cisterne, attraverso una sofisticata ed efficiente rete di canaletti tracciati lungo il pendio roccioso in innumerevoli pozzi e cisterne posti generalmente all’esterno delle grotte.
Le chiese rupestri visitate sono state a Mottola: San Gregorio, San Nicola e Sant’Angelo
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A Mottola ricadono anche la gravina e il villaggio rupestre di Petruscio
Questa imponente e bellissima gravina che si snoda per circa quattro chilometri da Nord a Sud, tra le più spettacolari dell’intero arco jonico, è sicuramente in grado di competere per grandiosità e fascino con i più celebrati canyon del mondo. Ospita tre chiese rupestri, prive di affreschi, ma ricche di graffiti devozionali (soprattutto croci), probabilmente di epoca altomedievale.
La forra – inizia ai piedi dell’abitato mottolese, proseguendo con alte e scoscese pareti per altri tre chilometri, fino a sfociare nella piana di Palagiano – riparata dai freddi venti di tramontana, ha offerto un sicuro riparo dagli invasori, a causa della difficoltà di accesso (gli ingressi al villaggio sono appena sei) e ha consentito all’uomo di viverci dall’Alto Medioevo probabilmente sino all’XI-XII secolo, esercitando, tra queste scoscese pareti, culti, arti, professioni e mestieri. La tradizione vuole che il villaggio di Petruscio sia stato scavato, popolato ed abitato dai profughi scampati nell’847 alla distruzione di Mottola da parte dei Saraceni del feroce condottiero Saba, poi abbandonato dai suoi abitanti alla fine del XII secolo, in seguito alla ricostruzione della cittadina collinare dopo la sua ennesima distruzione, questa volta per mano normanna, avvenuta nel 1102.
La gravina di Petruscio offre uno spettacolo unico: sembra essere costituita da una serie di “grattacieli” di grotte a piani comunicanti fra loro. Le grotte artificiali – circa duecento, delle quali sono state finora rilevate dagli studiosi solo un centinaio – sono scavate nella roccia friabile e servivano come abitazioni, ripostigli, ricovero di animali e pastori. La cellula abitativa consisteva in un unico ambiente quadrangolare posto al piano terreno (generalmente prendeva luce solo dall’ingresso) e presentava, di solito, verso la parete di fondo, due ampie nicchie divise da un tramezzo (e spesso sormontate da un soppalco utilizzato come deposito o ulteriore alcova), ove nell’una riposavano i genitori e nell’altra gli altri membri della famiglia. Nell’ambiente comune antistante alle alcove trovavano posto il focolare, i rari mobili e – non di rado – uno spazio riservato all’asino o alla giumenta, che contribuivano nella stagione cattiva al riscaldamento del nucleo familiare.
La vita sociale della comunità era ben organizzata con complessi agricoli, centri di culto religioso, insediamenti abitativi, aree comuni, magazzini per i viveri, necropoli.
In generale, il posizionamento delle aperture delle grotte sulle pareti delle gravine consente al sole, che d’inverno è più basso, di entrare nell’antro persino negli angoli più estremi della stanza, riscaldandola d’estate e far sì che la luce del sole riuscisse a penetrare D’altra parte giova ricordare che – grazie alle proprietà fisiche della calcarenite – la temperatura che si registra all’interno delle grotte è costante in ogni stagione, intorno ai 15° C.
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